Dove la pianura del Po si incontra con gli Appennini, dolci e poi più aspri, c’è la cosiddetta “Food Valley “ Italiana, celebre per le sue eccellenze: Crudo di Parma, Salame di Langhirano, Aceto Balsamico di Reggio Emilia e Parmigiano Reggiano, per citare i più famosi. Ma, per chi non ama i neologismi, questo è l’antico ducato di Parma, Guastalla e Piacenza, disseminato di pievi e castelli, terra in cui il lavoro secolare dell’uomo ha trasformato paludi in fertilissime aree agricole.

Partiamo da Parmapetite capitale” dei Farnese, dei Borbone e soprattutto di Maria Luisa d’ Asburgo, seconda moglie di Napoleone, che, in meno di trent’anni, trasformò la città invitando musicisti, artisti e cuochi. Se ci sono luoghi che permettono di capire l’indole “godereccia” dei suoi abitanti, questo è il Teatro Regio: nei suoi retropalchi, scomparsi nella maggior parte degli altri teatri, durante l’intervallo si può fare uno spuntino a base di pane e culatello; numerose sono le pasticcerie e non è un caso se, pochi anni fa, grazie al Professor Davide Cassi e allo Chef Ettore Bocchia, nacque proprio qui la cucina molecolare, unione tra scienza e gastronomia.

Chi preferisce fare una passeggiata non deve rinunciare alla cattedrale, costruita oltre 900 anni fa ed impreziosita da capolavori di epoche successive. I colori del marmo rosato sembrano fondersi con gli affreschi seducenti del Correggio che, tra il 1526 e il 1530, anticipò di un secolo la spettacolarità barocca. E se Correggio qui raggiunse l’apice della carriera, i più curiosi visiteranno anche Santa Maria della Steccata, per conoscere il destino opposto del Parmigianino che, cercando la perfezione, trovò invece la pazzia dipingendo le volte della chiesa.

#Dopo aver dedicato due giorni a Parma, ci dirigeremo nell’entroterra emiliano, pernottando a Sala Baganza. Visiteremo la reggia di Colorno, a nord, con un passato così complicato da apparire, per i più distratti, troppo vuota all’interno; oppure ci dirigeremo a sud, per visitare la Fondazione Magnani Rocca, colma di opere d’arte: in un parco all’inglese, la dimora ricorda il suo raffinatissimo proprietario (1906-1984) che acquistò capolavori dal Rinascimento al XX secolo, anche grazie all’amicizia di artisti come Guttuso, De Pisis e Manzù. Pare che, in base agli ospiti, Luigi Magnani scegliesse quali dipinti esporre rivoluzionando, ogni volta, gli arredi delle sale: Cézanne prendeva il posto di Goya e Goya quello di Van Dyck o Tiziano. E meriterebbe una sosta anche Masone, per conoscere un altro eccezionale “connoisseur”: Franco Maria Ricci che, dopo aver dato vita labirinto più grande del mondo, ha creato un museo per la sua ricchissima collezione.

Il terzo giorno, il castello di Torrechiara ci apparirà dominando il torrente Parma: il cuore dell’inespugnabile fortezza è, in realtà, una romantica alcova che, come nelle fiabe, era tutta dorata. Il prezioso rivestimento è andato perduto ma ancora oggi gli affreschi celebrano il legame tra Pier Maria Rossi, signore di queste terre, e Bianca Pellegrini, che non divenne mai sua moglie. Tutta la costruzione quattrocentesca è miracolosamente integra, a differenza della vicina Rocca di Sala Baganza dove, dell’imponente castello, rimane una sola ala a testimoniare il passaggio dei suoi proprietari: Sanvitale, Farnese e Borbone. Nel 1823, il maniero arrivò a Michele Varron, tenente napoleonico che, di fronte alle spese di mantenimento, eliminò tre quarti dell’edificio! La parte superstite, riaperta nel 2003 dopo anni di abbandono, racchiude portici quattrocenteschi, due spettacolari sale del XVI secolo ed affreschi rococò nella zona privata, oggi in restauro. Il giardino, riplasmato dall’architetto Paolo Pejrone, è l’ultimo tassello di una storia a lieto fine, dove il nostro patrimonio artistico è stato finalmente salvaguardato.

Il giorno successivo, procedendo sulla Via Emilia, conosceremo i segreti di prosciutti deliziosi (il Crudo di Parma può chiamarsi così solo se è prodotto a 5 km a sud della via Emilia, fino ad un’altitudine massima di 900 m, tra i torrenti Enza e Stirone) e, dopo 80 km da Sala Baganza, arriveremo nei dintorni di Reggio Emilia per scoprire l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP, affinato per almeno 12 anni in botti di legno.

Dormiremo in campagna, nei pressi di Reggio, e il quinto giorno dovremo fare una scelta tra la Rocca San Vitale di Fontanellato, Fidenza, il castello di Soragna e l’abbazia di Chiaravalle.

Il severo castello di Fontanellato custodisce un altro gioiello manierista: la saletta di Diana e Atteone, affrescata dal Parmigianino tra il 1523-24, in appena quaranta giornate. Il significato della decorazione è ancora sfuggente, ma lo stupore maggiore sarà per la “camera ottica”, una stanza completamente buia dove, grazie ad alcuni specchi, su un piano bianco, viene proiettata l’immagine del cortile davanti la rocca: un sistema di videosorveglianza d’altri tempi, certamente più poetico di quelli odierni.

Fidenza, sulla via Francigena, merita una sosta per il duomo, realizzato tra l’ XI e il XII secolo, con sculture di Benedetto Antelami. Ma la sosta più suggestiva sarà Soragna, con il castello in cui si sono incrociati i destini delle grandi casate del Nord Italia: Trivulzio, Pallavacini, Borromeo Arese, solo per menzionarne alcune. La proprietà oggi è abitata dal Principe Diofebo Meli Lupi e basta percorrere la galleria di oltre 60 metri, dedicata ai grandi poeti e affrescata dai fratelli Bibiena, per rivivere i fasti di un passato che qui è ancora vivo e palpitante.

Nel pomeriggio, inoltrandoci nel Piacentino, giungeremo all’abbazia di Chiaravalle della Colomba, costruita verso il 1133, ai tempi in cui S. Bernardo da Clairvaux scese in Italia. A fine giugno, in occasione del Corpus Domini, il pavimento si copre di tappeti fatti da fiori, bacche e arbusti ma, a colpire i visitatori, sono soprattutto la bellezza del chiostro gotico e la semplice perfezione della struttura romanica. Pernotteremo quindi a Vigoleno, tra boschi e radure, ed il giorno successivo visiteremo Vigolo Marchese, con la chiesa di S. Giovanni e l’oratorio, entrambi dell’anno 1000, e Castell’Arquato, sulle alture della Val d’Arda.

L’ultimo giorno saremo a Piacenza, città medievale, rinascimentale e barocca. Se bisogna scegliere un luogo, questo è la chiesa di Santa Maria di Campagna, riferimento per i pellegrini diretti a Roma. Le linee rinascimentali, in passato attribuite a Bramante, celano un altro grande capolavoro cinquecentesco; qui Antonio de’ Sacchi, detto il Pordenone, diede vita a potenti episodi, in cui l’antica mitologia dialoga con un cristianesimo ricco di cultura umanistica, tra colori che ricordano Tiziano e corpi michelangioleschi.

Estenuati da tutte queste meraviglie?

E allora, andiamo a mangiare: dopo tutto, siamo nella “Food Valley”.

Eugenio Buffa di Perrero