Poco dopo Lungo Po Diaz, all’imbocco con il ponte Vittorio Emanuele I, scendendo ai Murazzi ci si imbatte in una lapide che ricorda Mario Soldati.
La targa è curiosa perché il personaggio non viene commemorato per i suoi film o i suoi libri, ma per un atto di coraggio adolescenziale che gli valse la medaglia d’argento al valore civile.
Era il 17 marzo 1922: Mario non aveva ancora 16 anni, stava vogando lungo il Po quando la canoa di Raffaele Richelmy, nipote dell’Arcivescovo di Torino e suo coetaneo, si ribaltò. Senza esitazione, Mario si tuffò nel fiume per salvare l’amico.
Era l’ultimo anno del liceo e, per la città, era il momento in cui tutto era al massimo splendore: si stava completando il primo nucleo del Lingotto della Fiat e, negli stessi giorni, ci si stava preparando all’inaugurazione della Prima Esposizione Futurista Internazionale.
L’anno successivo, abbandonando definitivamente l’idea di entrare nell’Ordine dei Gesuiti, Mario si iscrisse alla Facoltà di Lettere, divenendo, in seguito, uno degli intellettuali più poliedrici del XX secolo.
Fu Storico dell’arte: allievo di Lionello Venturi, nel 1927 realizzò il catalogo della Galleria d’Arte Moderna di Torino.
Fu docente: nel 1929, quando ormai la dittatura appariva irreversibile, insegnò alla Columbia University di New York, sperando di ottenere la cittadinanza statunitense. Costretto poi a tornare in Italia, nel 1935 scrisse “America Primo Amore”, ricordando la giovinezza di uno studente europeo e lo stupore per il Nuovo Mondo. Fu anche, e soprattutto, scrittore: i suoi esordi narrativi erano avvenuti ad appena 23 anni con “Salmace”, una raccolta di racconti che, sullo sfondo di una Torino misteriosa e sfuggente, esplorava sentimenti inconfessabili, come il desiderio di un uomo di trasformarsi in una donna.
Fu sceneggiatore e regista. Cominciò a lavorare nell’ambiente cinematografico come ciacchista riuscendo poi a firmare, nel 1941, un capolavoro del cinema italiano: “Piccolo Mondo Antico”.
La genesi della pellicola fu inverosimile: pur di non realizzare un film sui corrispondenti di guerra- definito “orrendo e un po’ fascista” dallo stesso Soldati- firmò un contratto in cui si impegnava a girare le vicende tratte dal romanzo di Fogazzaro, anche se non aveva ancora letto il libro. A questo lungometraggio seguirono tanti altri successi, come per esempio le“Miserie del signor Travet”, tratto da una commedia di Bersezio, dove il protagonista fu considerato- da diversi critici- l’antesignano di Fantozzi.
Come giornalista collaborò con i quotidiani “L’Avanti” e “L’Unità” ma soprattutto, libero e antiaccademico, lavorò anche per la televisione, inventando la figura del reporter enogastronomico.
Nel 1956 realizzò, per la RAI, il programma “Viaggio lungo la Valle del Po”, poi confluito nel libro “Vino al Vino”, raccontando le tradizioni culinarie, i paesaggi e la vita degli Italiani. Il successo del pubblico fu immediato tanto che Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi ne fecero subito la parodia.
Nel 1968, insieme ad Arrigo Olivetti, Pier Franco Quaglieni e altri giovani universitari, fondò il Centro Pannunzio, associazione culturale libera e indipendente, aperta a tutti, senza distinzione d’età o di convinzione politiche, filosofiche o religiose.
Amava visceralmente Torino, ma visse troppo spesso lontano dalla sua città natale.
E allora, come omaggio a Soldati, ed anche al nostro capoluogo, ripubblichiamo un suo articolo apparso sul “Corriere delle Sera”, il 31 marzo 1982:
“…Diversa da tutte le altre città italiane, le manca ciò che tutte le altre città italiane possiedono e possiede ciò che a quelle manca.
Torino non conosce lo scetticismo guicciardiniano, così caratteristico e quasi esclusivo dell’Italia centromeridionale: di un popolo cioè che, attraverso i secoli e secoli delle più varie dominazioni nazionali o straniere, ha finito col non credere più nella politica e col disprezzare segretamente e involontariamente il potere.
Torino conosce, invece, la fede nella giustizia dell’organismo sociale in cui è cresciuta e si è sviluppata dall’epoca delle crociate fino al 1861 o addirittura (passando insensibilmente dal centralismo monarchico del Fert al centralismo industriale della Fiat) fino a oggi: una giustizia, malgrado tutti i possibili errori, pensata come definitiva e quasi metafisica. Torino ama l’ordine e lo ama anche quando si ribella, perché crede sempre nella necessità e nella possibilità di un ordine se pure diverso dal precedente: crede ancora, dall’epoca delle crociate, a un ideale in cui tutte le altre città italiane, della stessa epoca, non hanno creduto più. Torino ama l’ordine perché l’ordine è la sua vita medesima, l’ordine è nelle sue viscere geometriche, coordinate, disciplinate, creazione fantastica di uno spirito religioso e militare a un tempo…”.
Da quando fu scritto quest’articolo, tante cose sono cambiate.
Per esempio, proprio nel 1982, il Lingotto della Fiat iniziava la sua trasformazione da fabbrica a centro polifunzionale, decretando la fine della “One Factory Town”.
Ma Torino continua a essere una “città misteriosa, ricca di vitali contraddizioni, difficile da capire. Per coloro che vi sono nati o che vi sono vissuti a lungo e hanno imparato a conoscerla, c’è nel suo stesso nome-Torino- qualcosa di rosso che ride”.
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