Si dice che Torino sia monotona, con quelle strade che disegnano rettangoli perfetti in una mappa che poco spazio concede all’immaginazione. Eppure, sparse per la città, si trovano piazze che risplendono come gemme inaspettate in una primavera arrivata troppo presto. Alcune sono maestose e barocche, rose ancora fresche dai tempi sabaudi. Altre, invece, sono timide e raccolte, ma anch’esse elegantissime, simili a quelle donne raffinate proprio perché non indossano vistosi diamanti.

Una di queste piazze è in largo Montebello, al cui centro gli alberi accarezzano gli edifici circostanti. Al numero 38 si legge che, proprio lì, abitò Eugenia Barruero, la Maestrina dalla Penna Rossa, personaggio che visse tra le pagine di “Cuore” di Edmondo de Amicis.

Pubblicato nel 1886, il romanzo narra le vicende di uno scolaro all’alba dell’Unità d’Italia.

Il libro doveva ispirare le virtù civili ai giovani del Regno, ma fu anche oggetto di critiche piuttosto aspre: nel testo non è citata alcuna festa religiosa, neanche il Natale, specchio dei contrasti tra l’Italia appena fatta ed il Papato, dopo la presa di Roma.

La targa è opera del “Sodalizio dei Ragazzi del ‘99”, i coscritti che, nel 1917, quando ancora non avevano compiuto 18 anni, furono chiamati sul campo di battaglia; è l’omaggio di studenti cresciuti troppo in fretta, sopravvissuti agli orrori della guerra, alla loro insegnante.

Eugenia Barruero morì, quasi centenaria, nel 1957. Eppure, qualcuno dice che, nel quartiere, continui ad aggirarsi una vecchissima signora che indossa un cappello su cui spunta una piuma color rubino. Ha un’acconciatura fuori moda e trascorre le giornate in un salotto pieno di soprammobili che tanto piacevano a Gozzano. Colleziona le cartoline che i pronipoti di Franti e Garrone spediscono dalla Spagna dove stanno facendo l’Erasmus. Certo, loro preferirebbero inviarle una mail, ma la Maestrina non è capace a usare il computer e sulla scrivania c’è ancora il calamaio.

Per fortuna, neanche questo mese le hanno abbassato la pensione: anche perché ogni tanto minaccia di tornare a scuola. Ma sa che il suo insegnamento oggi sarebbe anacronistico e assolutamente improponibile.

Lei insegnava il rigore, mentre adesso alle maestre si impone la massima flessibilità.

In tempi di “Covid 19” poi, agli insegnanti si è chiesto di diventare tecnici informatici. E gli studenti all’università devono sostenere esami non in base alle proprie attitudini, ma secondo un complicatissimo sistema di crediti e debiti da far impazzire anche il più esperto dei ragionieri.

Tanti docenti universitari, infine, non hanno neanche il tempo di fare lezione: il più delle volte sono soffocati da interminabili consigli di facoltà, conferenze e interviste autocelebrative.

Ma sarebbe bello che, quando con puntuale ritardo concedono il ricevimento agli studenti, si ricordassero di questa modesta signora. Che aveva capito, per esempio, che l’insegnamento non è solo freddo nozionismo, ma anche passione. Che forse non conosceva potenti cui chiedere le agognate “raccomandazioni” ma sapeva dare qualche consiglio per salire sulla scalinata della vita, sempre troppo ripida e faticosa. Magari potrebbero passare da queste parti per una tisana: casa sua, infatti, non è troppo lontana dall’università.

eugenio buffa di perrero